Ispirandomi a un articolo apparso su uno degli ultimi numeri di Vanity Fair, ho voluto intraprendere un viaggio nel pianeta digitale alla scoperta delle nuove recognition app. Di cosa si tratta in realtà? Per app, come ormai tutti sapranno, si intende la miriade di applicazioni che si possono scaricare sul proprio smartphone o iPad e sono in grado di fornire i servizi più disparati. Il mercato delle app è così florido che non ha confini. Lo dimostra il fatto di come ogni giorno ne spuntino sempre di nuove. A dire il vero, alcune anche strampalate e perlopiù inutili. Non è il caso, però, delle app di cui andrò a parlare.
Cavalcando l’onda del successo mondiale conquistato da Shazam, programma che esiste già da un pezzo, a cui basta fare ascoltare un paio di note in fila e dopo alcuni secondi sullo schermo compare il titolo e l’autore del brano musicale che si è appena ascoltato, adesso lo stesso risultato si può avere con i titoli dei film, scaricando l’app TheTake, con i libri tramite l’app Instabook e con le opere d’arte grazie a Magnus.
Dulcis in fundo, tutti gli amanti del mondo green come me potranno divertirsi a scaricare app come Plantnet, a cui basta una foto di un frutto o fiore per recuperare il nome scientifico della pianta, da un database botanico di oltre 4.000 esemplari. Poi, c’è iForest (app a pagamento) che funziona allo stesso modo con gli alberi e Garden Answers che fornisce anche preziosi consigli di giardinaggio.
È sotto gli occhi di tutti come la tecnologia abbia travolto e trasformato la nostra vita negli ultimi anni, alimentando addirittura in alcuni casi – forse i più estremi – delle vere e proprie ossessioni. Viviamo ormai attaccati a uno smartphone, in perenne connessione tra noi e i tanti social. Che ci piaccia o meno, la forma dominante di socialità dei nostri tempi è legata proprio a quel rettangolino vitreo che si illumina con il magico tocco di un dito.
Tutti inneggiano alla condivisione virtuale, apparire per sentirsi qualcuno, scattare selfie all’infinito per autocelebrarsi. Raro ascoltare voci che argomentano, e altrettanto raro scorgere scambi di sguardi tra le persone. Questo dimostra il vuoto valoriale, la precarietà esistenziale e la mancanza di certezze che contraddistinguono soprattutto le nuove generazioni. Ma riconoscere, dare un nome a ciò che ci circonda potrebbe rivelarsi un buon esercizio, per riconoscere anche un po’ di più noi stessi, qualora ci fossimo persi qualcosa. Alla prossima!